Samarcanda by Franco Cardini

Samarcanda by Franco Cardini

autore:Franco, Cardini [Cardini, Franco]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Intersezioni
ISBN: 9788815329622
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2016-10-14T22:00:00+00:00


L’ultimo timuride alla conquista dell’India

La tensione tra padre e figlio sfociò in un vero e proprio scontro guerriero, nel quale Ulugh Beg ebbe la peggio. Consigliato dopo la sconfitta di accettare una specie di pellegrinaggio penitenziale alla Mecca, che in realtà si configurava come un forzato esilio temporaneo, al primo villaggio appena fuori Samarcanda fu catturato e decapitato. Se non il diretto mandante dell’esecuzione, Abd al-Latif ne fu comunque complice almeno passivo. Ma la successione ottenuta attraverso l’acquiescenza al delitto non gli giovò: appena sei mesi dopo, veniva decapitato a sua volta – è difficile dire se dai suoi complici che si sbarazzavano così di lui o dai fedeli del padre: comunque a ucciderlo fu suo cugino Abdullah – e la sua testa esibita nel Reghistan, dinanzi alla madrasa che Ulugh Beg aveva fondato.

Mentre la tomba del Principe Sapiente veniva onorevolmente collocata nel mausoleo di Amir Timur, dove fu scoperta nel 1941 da Gherasimov (che la identificò in quanto lo scheletro ivi contenuto aveva la testa recisa), ad Abd al-Latif si concesse una diversa, dignitosa ma meno onorevole dimora, nel vicino Ak Saray.

I pii congiurati che avevano rovesciato il Principe Sapiente (ma inavveduto) definirono il suo osservatorio «ricettacolo mortifero di quaranta spiriti malvagi». Tuttavia esso rimase più o meno intatto e finì con lo scomparire solo con il tempo, l’incuria e i terremoti. Ma nel 1908 Vladimir Vyatkin riuscì a riportare alla luce almeno parte del colossale arco marmoreo dell’astrolabio[6].

La storia postuma della fama di Ulugh Beg non è meno romanzesca della sua avventura di principe-scienziato. Un suo collaboratore, Ala al-Din Ali ibn Muhammad, detto al-Qushji («il Falconiere») in quanto il principe, appassionato di falconeria fin da ragazzo, gli affidava talvolta alcuni dei suoi animali preferiti, scampò ai nemici del suo protettore fuggendo prima a Tabriz presso il khan dell’Orda di Ak Koyunlu (i «Montoni Bianchi») e da lì a Costantinopoli ch’era stata da poco conquistata dall’ottomano Mehmed II. Nella capitale ottomana l’atlante stellare del nipote di Amir Timur fu pubblicato con grandi lodi, mentre le sue tavole delle coordinate astrali raggiunsero l’Europa solo nel XVII secolo, sull’onda delle scoperte di Tycho Brahe. Frattanto, nella sapiente India moghul del Settecento, l’osservatorio di Ulugh Beg veniva come sappiamo in qualche modo imitato se non addirittura riprodotto, sia a Delhi sia a Jaipur. Nel 1994 il libero Uzbekistan ha commemorato il suo grande Mirza nel seicentesimo anniversario della nascita restaurando quel che resta del suo geniale edificio.

Dopo il pur discusso «regno» di Ulugh Beg – lunghissimo e in parte felice per Samarcanda, breve e rovinoso per il resto dell’emirato –, la dinastia timuride non riuscì più a ristabilire la propria autorità. Abdullah, colui che aveva assassinato – o giustiziato... – Abd al-Latif, venne presto messo da parte da Abu Said, nipote di Miran Shah figlio di Timur, che regnò su Mawarannahr e Khwarezm fino al 1469 e fu tanto eroico quanto pio e generoso, specie con le confraternite dervisce. Ma, impegnatosi in Azerbaijan in una campagna contro Uzun Hasan, il potente khan



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